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«Lavorando a Librino, e parlando con gli abitanti», racconta l'architetto Mario Cucinella, il tutor dell'operazione, «ho potuto capire molte cose in più delle periferie. Anzitutto che è fuorviante l'approccio di chi, venendo da fuori, assume un atteggiamento pietistico e ritiene di dover interpretare il disagio dei residenti soprattutto nella chiave della bruttezza estetica. Anche in luoghi come questi esiste un orgoglio di appartenenza, e la bruttura non viene avvertita come una vera criticità; si può dire che in qualche modo essa è stata metabolizzata, ormai fa parte della vita di ognuno essendone diventata lo sfondo. Le richieste sono altre, non “estetiche”. I giovani vogliono luoghi dove potersi incontrare e fare sport, le mamme vogliono spazi verdi non recintati per far giocare i bambini, i pensionati vogliono l'illuminazione e gli orti da coltivare».